6 maggio 1976. Il friuli tremò, quasi mille i morti. La straordinaria solidarietà e la fierezza di un popolo che rinacque dalle macerie

di redazione 06/05/2019 CULTURA E SOCIETÀ
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 43 anni fa la sera del 6 maggio 1976, in Friuli la terra tremò e in pochi secondi tutto venne giù. Soltanto il mattino successivo si compresero le proporzioni della devastazione, con case crollate e morti. Si era risvegliato l'Orcolat, in dialetto friulano 'orco', sinonimo di terremoto.

l sisma colpì principalmente le zone di Udine e Pordenone, tanti i comuni distrutti o danneggiati, quasi mille le vittime totali. I danni furono amplificati dalle condizioni del suolo, delle costruzioni quasi tutte datate e dalla posizione dei comuni coinvolti situati, nella maggior parte dei casi, su alture. Già dal giorno dopo, nonostante il dolore e la disperazione, partì però una vera e propria gara di solidarietà, che coinvolse anche i cittadini friulani residenti all’estero.

Lo Stato intervenne, concedendo però ampie autonomie a Regioni e comuni. I sindaci, per la prima volta, furono i protagonisti della ricostruzione. Insieme a loro, tanti “angeli”, ovvero quei volontari arrivati da ogni parte d’Italia per aiutare la popolazione colpita. Si trattò di un modello vincente: quel “modello Friuli” che verrà poi applicato in altre situazioni.

Soltanto il mattino successivo si compresero le proporzioni della devastazione portata dalla scossa – 6,4 gradi della scala Richter – con case crollate e centinaia di morti in 137 Comuni. Una cinquantina quelli più colpiti, soprattutto nel quadrilatero tra Gemona, Venzone, Buja e Majano. In tutto furono 989 le persone rimaste sotto le macerie. Si era risvegliato l’Orcolat, l’orco della Carnia che nel folclore friulano scatena i terremoti. Negli anni successivi la ricostruzione “dov’era e com’era”, consentita dal decentramento delle decisioni dalle Regioni ai sindaci e mirata al reinsediamento della popolazione nei luoghi in cui viveva prima, sarebbe diventata un modello virtuoso. 

Già quel 6 maggio però centinaia di giovani friulani raggiunsero i luoghi colpiti dal sisma insieme a squadre coordinate dai sindaci, dai Vigili del fuoco e dagli alpini della Julia. Il giorno dopo arrivò Giuseppe Zamberletti, nominato commissario straordinario dal presidente del Consiglio Aldo Moro. Scomparso all’inizio di quest’anno, partendo dall’esperienza dell’intervento in Friuli e di quello del 1980 in Irpinia Zamberletti promosse la nascita della Protezione civile, guidando il ministero per il coordinamento e diventando poi il primo capo del Dipartimento ad hoc presso la presidenza del Consiglio.

Nei mesi successivi altre scosse rasero al suolo quel che era rimasto in piedi. Il governo Andreotti richiamò Zamberletti dandogli carta bianca: lo autorizzò ad agire “in deroga a tutte le leggi ivi comprese quelle sulla contabilità generale dello Stato”. Nel settembre 1976, in vista dell’inverno, oltre 30mila persone furono trasferite sulla costa, da Grado a Venezia passando per Lignano, Bibione e Jesolo. Altri andarono a Ravascletto, nell’Alta Carnia. Furono sistemati in case di villeggiatura ed alberghi.

Ma per consentire ad agricoltori, allevatori e tecnici di rimanere nelle zone terremotate Zamberletti, come ha raccontato lui stesso in un'intervista in occasione dle quarantennale: “Ne arrivarono in Friuli più di 5mila, in colonne guidate dai presidenti delle Regioni. Fui sommerso dalle critiche, avevo contro tutti. Ma a marzo, quando le radunammo a Campoformido per restituirle, i proprietari le trovarono in perfette condizioni. E in ognuna i terremotati avevano lasciato un mazzo di fiori“.


    Subito cominciò la solidarietà con centinaia di giovani che raggiunsero i luoghi colpiti dal sisma e squadre coordinate da sindaci, Vigili del fuoco e alpini della Julia. Il giorno dopo arrivò Giuseppe Zamberletti, nominato commissario straordinario dal presidente del Consiglio Aldo Moro. Sul campo rimasero quasi mille morti e un terzo della regione devastato. Ma da quella devastazione nacque un modello di ricostruzione. Il 6 maggio, afferma il presidente del Fvg, Massimiliano Fedriga, si celebra ogni anno anche "un popolo che da quelle macerie ha saputo risollevarsi con le proprie forze. Un insegnamento che dobbiamo conservare quale patrimonio dell'intera comunità regionale".


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